Venerdì, 04 Febbraio 2011 19:20

Democrazia e decadenza

Scritto da  Gerardo

"Perché, nonostante le prove schiaccianti di ripetute e numerose illegalità e turpitudini morali, gli italiani continuano a sostenere Silvio Berlusconi? Questa è la domanda che ci si pone fuori d'Italia", scrive Adriano Prosperi in “la Repubblica” del 3 febbraio 2011.
Girando la domanda alla nostra riflessione.




Democrazia e decadenza

Perché, nonostante le prove schiaccianti di ripetute e numerose illegalità e turpitudini morali, gli italiani continuano a sostenere Silvio Berlusconi? Questa è la domanda che ci si pone fuori d'Italia. Il New York Times ha aperto uno spazio di dibattito sull'Italia intitolandolo così: "Decadenza e democrazia in Italia". È un titolo che ci ricorda un punto importante: dal punto di vista di una tradizione come quella americana la moralità e la democrazia sono essenziali l'una all'altra. Dalla decadenza morale discende la crisi della democrazia. Il politico che mente, che giura il falso, che dà esempi di vita palesemente immorale, che attacca l'ordinamento costituzionale, vi è non solo messo in stato d'accusa ed espulso dal gioco del potere ma è anche immediatamente colpito dal verdetto inappellabile dell'opinione pubblica.

Il caso Berlusconi sembra fatto apposta per proiettare come in uno specchio rovesciato l'idea di democrazia agli occhi del paese che l'ha creata. Così gli argomenti hanno finito col battere sul tasto della diversità antropologica degli italiani: disposti a perdonare tutte le forme di corruzione, maschilisti e sessisti, portati a discriminare le donne più di ogni altro paese europeo e a consumare immagini di corpi femminili in una misura impensabile altrove. In quel dibattito sono intervenuti anche diversi italiani che hanno provato a rispondere e a fornire giustificazioni. Non hanno avuto un compito facile. E soprattutto non hanno centrato il nodo del rapporto tra moralità e democrazia. Si è andati dal piano politico – la presunta mancanza di alternative – a quello dell'imbonimento dei media asserviti in vario modo al padrone. Argomenti fragili, come ognun vede.

Non siamo in un regime dittatoriale di controllo dell'informazione. E quanto a possibili alternative, ce ne sono anche troppe: il problema è che non riscuotono consensi nella stessa misura del personaggio che fuori d'Italia appare così sconveniente e grottesco. Ma la speranza è dura a morire e c'è chi ha chiesto ai lettori americani di avere pazienza promettendo a breve scadenza una normalizzazione della situazione italiana: così Alexander Stille ha concluso il suo intervento affermando che il pubblico italiano non sopporterà più a lungo il fatto che Berlusconi si occupi dei propri affari trascurando del tutto l'attività di governo. Questo sarebbe secondo lui l'unico "peccato imperdonabile" per gli italiani. Vedremo se la previsione sarà confermata. Ma intanto si è affacciata la questione squisitamente teologica e religiosa del "sin that may not be forgiven", il "peccato imperdonabile".

Che cosa abbia significato nella cultura puritana questo problema lo abbiamo imparato dalla grande letteratura dell'800. Ma oggi è una domanda molto semplice quella che ci viene proposta dal paese di Melville e di Hawthorne: esiste almeno un peccato imperdonabile per gli italiani? La risposta negativa dei paesi di cultura non cattolica è a questo proposito antica e ben consolidata. Un viaggiatore inglese del '600 autore di un rapporto sullo stato della religione in Italia che fu postillato da Paolo Sarpi, Edwin Sandys, lo disse molto chiaramente: gli italiani gli sembrarono un popolo civile e accogliente, dotato di eccellenti qualità. Gli piacquero anche alcuni aspetti della loro religione. Ma trovò incomprensibile e del tutto esecrabile la pratica della confessione cattolica: il modo in cui nel segreto del confessionale i comportamenti più immorali e le infrazioni più gravi ai comandamenti cristiani venivano cancellati al prezzo di qualche orazioncella biascicata distrattamente gli sembrò una vera e propria licenza di immoralità, un modo per corrompere in radice la natura di un popolo.

Oggi quei tempi e quelle idee sono lontani ma il problema si ripropone. La questione teologica di allora ci si presenta come qualcosa che riguarda il paese intero e tocca la radice profonda della convivenza democratica e del funzionamento delle istituzioni. È il problema della moralità pubblica come cemento della democrazia, o in altre parole della sostanza morale della democrazia, come questione del rapporto che deve esserci tra il buon ordinamento della società e il patto stretto dal politico con gli elettori: l'impegno ad accettare le regole, quelle del fisco, della giustizia, della libertà d'informazione, incluso l'obbligo a sottostare alla legge come e più di ogni privato cittadino. Ora, che questo problema sia stato ignorato clamorosamente dalla dirigenza della Chiesa cattolica italiana anche nei suoi recenti e imbarazzati pronunciamenti è qualcosa che rinvia ai caratteri profondi della religione italiana e non può essere spiegato soltanto dalla difesa del proprio potere e dalla ricerca dei favori governativi da parte di chi si arroga la funzione di maestro e censore della morale collettiva.

Ma è dal punto di vista della sopravvivenza della democrazia italiana che quello che ci viene proposto da Berlusconi in questo tardo autunno dell' "egoarca" appare come un patto scellerato: si tratterebbe di affrontare i problemi del paese lasciando cadere come irrilevanti i capi d'accusa dei tanti reati che pendono sulla testa del premier. Se anche fosse vero che accettando questo patto i problemi di un paese ridotto nelle condizioni che ognuno vede sarebbero risolti, la questione è quella della natura del regime che noi italiani ci troveremmo ad avere inventato. E qui torna utile la domanda che fu posta da Benedetto Croce a proposito della natura del fascismo: rivoluzione o rivelazione, trasformazione violenta e radicale dell'assetto politico del paese o disvelamento di una verità profonda, di carenze antiche e radicali, tali da rendere il paese Italia diverso da tutti gli altri. Oggi, al termine – speriamo, infine – di un'avventura individuale e collettiva che consegna una fetta consistente di storia del Paese alla figura di Berlusconi, gli italiani tutti e non solo la classe politica, sono giudicati nel mondo per ciò che hanno accettato e premiato con le loro scelte e di cui continuano a non volersi liberare. Come nel rapporto tra personaggio e ritratto descritto da Oscar Wilde ne "Il ritratto di Dorian Gray", oggi il nostro Paese e la qualità morale della nostra convivenza civile sono diventati il ritratto rivelatore della verità nascosta del personaggio Berlusconi: brutti, vecchi, laidi, corrotti. Così li giudica l'opinione pubblica democratica dei paesi civili.

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